Il Bar delle Grandi Speranze – J.R. Moehringer

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Insomma J.R. Moehringer è l’autore n.1 del New York Times. Tu ‘o sapevi?
E ha pure vinto il Pulitzer. Tu ‘o sapevi?
E poi ha scritto Open, la biografia di Andre Agassi, che è un bel libro. Tu ‘o sapevi?
Insomma, limortaccisua, è uno bravo. Tu ‘o sapevi?
Io no, ovviamente.

Partiamo da qui, dalle foto a fianco. Il perno intorno a cui gira questo romanzo autobiografico è un bar di Manhasset (Long Island, New York), conosciuto come Dickens, poi Publicans, ora Edison’s. L’ho cercato su google maps, tanta è la curiosità che l’autore è riuscito a destarmi. Visto da fuori fa quasi schifo. Visto da dentro è un normalissimo bar americano (che da qualche mese tra l’altro ha anche chiuso i battenti). Visto dalle pagine del libro invece è un luogo fantastico, tana di tante persone che vanno e vengono dalla City, cura dei loro mali, pace dei loro sensi. Questo bar fa da padre, da amico e da compagno di viaggio al protagonista, fino a portarlo in pratica alla soglia dell’alcolismo, fino a quando “per fortuna” Steve, il dickensiano proprietario, muore. Intorno al bar ed ai suoi magnifici abitanti, lo zio Charlie, Puzzolo, Mavaffa, Bob il poliziotto, Cager, Joey D (personaggi da cui non vorresti separarti più, ma da cui putroppo invece ci si separa fin troppo bruscamente) ci sono molti altri elementi che accompagnano J.R. dalla pubertà all’età adulta. Il gioco d’azzardo, Yale, lo Shea Stadium, il New York Times. E poi, ma forse dovrei dire “soprattutto”, il tentativo di rapporto con il padre, famoso speaker radiofonico che si è dileguato quando lui era piccolo, e il rapporto cactus con la madre (cito alla cazzodicane: …ai cactus se tagli un ramo da una parte, loro si organizzano e tentano di ristabilire l’equilibrio: ecco, questi siamo io e mia madre, solo che non riusiciamo mai a stare dritti…).

Davvero un bel lavoro, su cui non mi sento di fare troppo il coglione perché per parlare di sé, che sia per tentare di esorcizzare il passato, o anche solo perché “ehi, la mia vita è stata così figa che potrei scriverci un romanzo” ci vogliono sempre due belle palle grosse così.

Nota 1
Il titolo tradotto in italiano, come spesso accade, fuorvìa un pò ma prova a mettere una pezza citando Dickens. Il titolo originale è infatti The Tender Bar, che invertendo il termine Bar Tender (Barista), diventa il il Bar tenero, sensibile, gentile. La traduzione italiana si rifà invece a “Great Expectations”, visti i tanti richiami a Dickens all’interno della storia.
Appendice A alla Nota 1
Noi in Italia famo sempre come cazzo ce pare.
Appendice B alla Nota 1
E sticazzi del titolo, ‘ncioometti?

Nota 2
Quest’estratto vale il prezzo del libro (‘na decina de euri…).
I nostri posti allo Shea Stadium erano tre file dietro la casa base. Zio Charlie e gli uomini si accomodarono, stesero le gambe e fecero amicizia con tutti quelli che avevano attorno.
Zio Charlie mi disse che se dovevo andare in bagno potevo farlo, “ma ricordati dove siamo seduti e non stare via a lungo”. Notò il venditore di birre e gli fece un cenno. “Ricordati dove siamo seduti e non stare via a lungo” gli disse.

Nota 3
Il bambino in copertina è chiaramente lo stesso della cioccolata kinder.

 

Ciao.

 

 

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