Super Santos – Roberto Saviano

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Roberto Saviano dimostra di conoscere la differenza tra i palloni che rappresentano la santissima trinità calcistica di ogni creatura nata dagli anni 70 in poi. Il top di mercato (quello da grandi, quello pesante, da campetto), sua maestà il Tango; quello intermedio (di qualità inferiore ma con una storia ed una dignità acquisita su tutte le superfici calpestabili dall’uomo), cioè il Super Santos; ed in ultimo (come se non esistesse, il pallone che va dove lo porta il vento, anche detto il pallone delle femmine per il fatto che si prestasse bene alla pallavolo), il Super Tele. Tre palloni così ben riusciti che sono tutt’ora in commercio e non hanno fatto, ad esempio, la fine del Derby, che secondo alcuni rappresentava il giusto compromesso tra il Tango ed il Super Santos.

Roberto Saviano, che da qui in poi chiamerò RobSonic, lascia trapelare il fatto che nelle vie di Napoli (ma di ogni città, a questo punto) il Super Santos abbia avuto tanto successo perché adatto a giocare sull’asfalto, sul cemento, nelle piazze, nei cortili, mentre per chi come me è cuginodicampàgna ed aveva a disposizione campetti o ampie superfici sterrate il Tango o il Derby erano meglio.

E quindi così, tra un calcio alla palla arancione ed un calcio allo stinco del bambino avversario, nasce la storia che ci racconta RobSonic, la storia di Dario, Rino, Giuseppe e Giovanni, quattro ragazzi che passavano tutto il giorno a giocare e che insieme erano imbattibili. E allora penso: “Oh, finalmente una storia di un’altra Napoli, quella dell’amore per il calcio, delle criature rint ‘o vico che fanno il tocco per formare le squadre, il ruolo del portiere che toccava sempre al bambino più scarso, o a quello più grassottello: insomma, finalmente un racconto di strada che non sfocia nel mare dell’intossicamento con fatti di camorra”…

No, niente.
Colcàzzo.
Sfocia pure questo.

RobSonic non riesce a separare Napoli dal suo male più grande e quindi succede che dopo poche pagine i quattro amichetti vengano reclutati dai tentacoli del sistema rappresentati da Tonino Porcello e la loro passione per il calcio venga incredibilmente sfuttata per gestire una piazza di spaccio (aò, detto così non si capisce, ma se leggete il libro RobSonic ve spiega tutto…). Da lì i quattro crescono e si ritrovano più o meno tutti nel sistema, pedine, corrieri, spacciatori, mortiammazzati. Per fortuna uno si salva, grazie ad Evair, bomber dell’Atalanta (aò, pure qui non se capisce, però non è che ve posso spiega’ tutto io…).
La storia dei quattro si intreccia con dei fatti realmente avvenuti, alcuni anche noti alla cronaca nazionale, tra cui 1) la morte di Vittorio Mero (giocatore del Brescia di Mazzone e Baggio) e la falsa notizia del suo cuore trapiantato al boss Francesco Mollo e 2) i tre colpi di pistola alle gambe di Luigi Necco, giornalista partenopeo, reo di aver raccontato a 90mo Minuto che il presidente dell’Avellino, Antonio Sibilia, era andato con un suo giocatore a rendere omaggio al boss Raffaele Cutolo.

Insomma, storia vera e fantasia. Cronache da bordocampo e da bordostrada.
E quindi che dire (a parte Eccheccàzzo…)?
Ben scritto, ben raccontato, però amaro come una sconfitta immeritata.

C’vrimm.

 

Nota: a quanto ho capito questo racconto è tratto dal libro Il Pallone è tondo, ma io sono incappato in questo ebook sul sito Feltrinelli.

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