Lisistrata – Aristofane

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Non so in che modo parlarvi di questa commedia greca antica. Potrei parlarvene in dialetto romano, pronipote del latino e amico stretto del greco e dirvi, ad esempio: assaggia ‘sta commedia – è greca. Oppure potrei semplicemente riportarvi degli estratti, in modo da palesare quanto cazzo è turpe questa faccenda scritta da Aristofane, mezzo parente di Aristotele, cugino di Aristorànte, marito di Aristoquà.

Innanzitutto la trama: le donne si lamentano sempre del fatto che i mariti non ci sono mai perché impegnati nella guerra del Peloponneso, non sono mai a casa, non aiutano con le faccende domestiche, non le accompagnano all’Esselunga, e allora Lisistrata le raduna tutte e prova ad organizzare uno sciopero del sesso. Una cosa tipo: non gliela diamo fino a quando non fermano questa stupida guerra. Eh, che ve ne pare, ragazze? Loro reagiscono così:

Lisistrata: S’ha da rinunciare senza indugi al cazzo. Perché vi girate? Dove ve ne andate? Perché quelle smorfie? Quei no con la testa? […]

Calonice: Non lo posso fare, che vinca la guerra!

Mirrine: Quant’è vero Iddio, io no, vinca la guerra!

Lisistrata: Proprio tu lo dici, cozza? Poco fa dicevi di dare metà di te stessa.

Calonice: Qualsiasi altra cosa. Davvero m’ammazzo, traverserò il fuoco. Questo e non il cazzo: non ce n’è l’uguale, mia cara Lisistrata.

Non ce n’è l’uguale, mia cara Lisistrata! Staccapì? Qua sotto invece l’avanguardia dell’erotismo:

Calonice: Mio marito, povero caro, da cinque mesi è via in Tracia, a far da guardia ad Eucrate.

Mirrine: Il mio sta a Pilo da sette mesi esatti.

Lampitò: E il mio, se una volta mai torna dal fronte, eccolo che acchiappa lo scudo a va via.

Lisistrata: E non c’è rimasta l’ombra di un amante. Da quando i Milesii poi ci hanno tradito, non ho visto le otto dita di un bel dildo, che almeno ci dava sollievo al dito. Voi vorreste, se io ne avessi l’incanto, con me far sparire la guerra?

Sì, avete letto bene: dildo. Un dildo ad otto dita, a.k.a. non ci siamo inventati un cazzo. Ma poi ancora:

Lisistrata: Altroché, per quant’è vero Iddio. Se ci spaparanziamo in casa incipriate, e se dentro lini trasparenti nude ci mostriamo, il triangolo ben depilato, s’arraperebbero e vorrebbero fottere; se non li sfioriamo, ma stiamo alla larga, farebbero subito tregua, lo so.

In ultimo l’incontro tra Mirrine e suo marito Cinesia, che da quanto emerge sono entrambi di una bellezza inarrivabile, belli belli belli in modo assurdo, direi quasi belli come statue greche.

Mirrine: Quanto è vero Iddio, io: è mio marito Cinesia.

Lisistrata: Compito tuo cuocerlo e rigirarlo, e infinocchiarlo, filarlo e non filarlo, e dargli ogni cosa tranne quel che sai.

Mirrine: Non ti preoccupare, mai e poi mai.

Lisistrata: E allora io lo infinocchierò restando qui, e te lo arrostisco. Ma voi ora andate via.

Cinesia: O porco demonio, che fitta mi prende e che pena, come mi strazia la pudende.

Insomma una cosa che si avvicina molto a quello che noi releghiamo nella categoria trash: siamo sugli standard del Bagaglino ai tempi di Martufello, Leo Gullotta, Oreste Lionello e Pamelona Prati. Una commedia intrisa di doppi sensi a supporto di un tema centrale già parecchio esplicito. Roba da seconda serata intrecciato a grandi linee in: stupore generale, ma come vi permettete, donne infami, serpi, vi diamo fuoco, però vi amiamo, che belle bocce, siete profumatissime, ok facciamo pace, basta che ce la date, viviamo felici, greci e contenti.

Ciao, saluti e babà, babà, babàci.

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