Sono tutte finali – Fabio Caressa

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L’autore

Fabio Caressa, riga da una parte e ciuffo dall’altra, zeppola non solo a Natale, giacca di Manuel Ritz, host del tavolo a cui ogni italiano medio vorrebbe sedersi (quello del dopopartita SKY), è un giornalista con un piede nella vecchia ed uno nella nuova generazione. Nel senso che ha creato un sentiero – poi battuto da altri – che collega il mondo dei giornalisti/telecronisti prima di lui che raccontavano lo sport in modo epico e romantico, a quello più recente che si basa di più sull’analisi dei dati, delle informazioni, dei dettagli, coadiuvato in questo anche dalle nuove tecnologie che ora sono al centro del villaggio*. Caressa, che da qui in poi chiameremo Fabbietto, racconta il pallone in modo sì più analitico, è vero, ma con un coinvolgimento quasi da tifoso: basti pensare al leggendario “…arriva il pallone…lo mette fuori Ccannavaro!.. insiste ancora Podolski… Ccannavaro!!Cccannavaro!!!!!!…

L’idea

L’idea del libro non è quella di raccontare 4 cazzate in croce prese dal mondo del calcio, ma quello di provare ad elevarsi a Dio e scolpire col fuoco non 10 ma ben 11 comandamenti per farcela nella vita, per raggiungere il successo o più semplicemente i propri obiettivi, però basandosi e prendendo spunto giustappunto da quelle 4 cazzate in croce prese dal mondo del calcio a cui ho poc’anzi accennato.

Il libro

Fabbietto nostro scrive bene, sa quello che piace a noi popolani e ce lo schiaffa nella pagine senza lesinarcelo: capitoli brevi, frasi semplici, nomi altisonanti, esempi come se piovessero, ma anche qualche citazione colta per farci capire che lui sì ama la plebe, ma comunque è uno studiato, comunque appartiene all’aristocrazia e comunque non lo devi fa’ innervosi’ perché è chiaro che quando si spengono le telecamere è coatto più de me e te messi insieme.

Fabbietto quindi si mette lì e fa un rapido excursus su quello che negli anni ha funzionato e rivoluzionato il giuoco: il calcio totale dell’Ajax (e poi della nazionale olandese) di Rinus Michels, il Milan di Arrigo Sacchi, il ManU di Alex Ferguson, l’Inter di Mou, il Barca (ed il ManCity) di Pep, ma anche la dedizione del Trap, l’apertura mentale di Lippi, l’evoluzione di Mazzone, la filosofia di Liedholm, la libertà di Allegri. E ultimi, ma non meno importanti, i mozziconi delle sigarette di Sarri e le bestemmie di Buffon.

Alla luce di quest’immensità calcistica noi dobbiamo scolpirci, forgiarci e mettere la freccia per sorpassare il fatto che non arriviamo a fine mese se andiamo tre volte a cena fuori con la famiglia (con gli amici non ne parliamo proprio…). E quindi in sostanza non importa se sei leone o gazzella: la mattina guardati allo specchio, fai una buona colazione, cerca il tuo talento, componi la tua squadra, fai una campagna acquisti mirata, scendi in campo motivato, vinci la tua partita. Invòlati verso la porta sguarnita e fai sognare il tuo pubblico, che tu sia manager di una multinazionale (allenatore), parcheggiatore abusivo (mediano di contenimento), elettricista con contratto di collaborazione a progetto (difensore centrale adattabile a terzino), rider (esterno di attacco), o cuoco egiziano in un ristorante cinese (acquisto per fare plusvalenza fatto durante il mercato di riparazione).

Epilogo

Ho avuto la sensazione che durante tutto il libro Fabbietto non facesse altro che tergiversare, buttandola un po’ in caciara con citazioni tra gli altri anche di Rino Tommasi, Sun Tzu e Michele Plastino, solo perché alla fine voleva sganciare la bomba, dirci una cosa, una sola, dicendola forte. Mi è sembrato che quello che volesse davvero dirci fosse racchiuso in questo postulato: ricorda, lettore, “‘sta mano po’ esse Conte e po’ esse’ Ancelotti. Oggi è stata Ancelotti”.

Ciao (mi raccomando, tutti a bere un thè caldo).

* Mettere la chiesa al centro del villaggio è una frase metaforica del filosofo e docente all’università di Marsiglia Rudi José García da Nemours, tanto per far capire a Fabbietto che qui non si molla un cazzo.