Le Intermittenze della Morte – José Saramago

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Stiamo parlando di un premio Nobel, quindi non scriverò quella cosa che volevo scrivere sul fatto di citarlo per plagio quando nel suo libro descrive una mafia nuova, formatasi all’occorrenza su vicende che svicenderò più avanti, che per distinguersi dalla mafia classica si fa chiamare maphia. Ecco, ora non conosco il vostro background culturale, musicale, personale o professionale, ma io vi dico con cognizione di causa che la mafia col ph l’hanno inventata i Flaminio Maphia. Non so se Rude o G-Max, ma se devo scommettere dico il secondo. Come questa cosa sia poi arrivata alle orecchie portoghesi di José non lo so, ma è sicuramente un dettaglio a cui in un’aula di tribunale nessuno farebbe caso.

Ma veniamo a noi. Ho comprato questo libro perché in copertina c’è una morte bella seduta comoda su una panchina e ho pensato (faticando, eh…) due cose. La prima: ma ‘sto José Saramago sarà mica uno di qualche collettivo skull-friendly tipo Cypress Hill, Soul Assassins, Psycho Realm, Hyenas in the Desert, chessò, un ex rapper che ora si è dato alla letteratura? Poi, vedendo che il libro era piccolino, la seconda: ma ‘sto José Saramago co’ ‘sta morte su ‘sta panchina avrà di sicuro scritto poche righe, poche cose, ma le avrà caricate di ignoranza ed io leggerò questo libro con piacere ed un ghigno sulle labbra mi rimarrà stampato per giorni. E invece niente, avevo il libro in mano, stavo in fila alla cassa e mentre lo sfogliavo non trovavo storie di drive-by o rapine a mano armata, ma ormai non potevo più pensare di posarlo; non potevo più pensare di non comprarlo; non potevo più pensare di fare niente perché avevo già pensato diverse cose prima e il mio amico Alberto Pace mi ha insegnato che se pensi troppo svieni quindi mi sono ben guardato dal fare figure di merda in fila alla cassa del Mondadori Store della Romanina.

Ho scoperto quindi una nuova forma di ignoranza, che è l’ignoranza sotto forma di eleganza. Non so se riesco a spiegarmi ma questo libro mi sembra una prepotenza continua, una manata in faccia alla facilità di lettura, uno sputo alla scorrevolezza, un ottantatreenne che ti sorpassa su una ruota con la sua Graziella pieghevole, ti fa il dito medio, manda un bacio alla tua donna seduta dietro di te mentre tu sei in posizione aerodinamica sul tuo CBR 6000, che credo non esista perché di moto, oltre che di letteratura, non ci capisco una stramazza. Il coattone portoghese si mette lì e si diverte a non mettere mai un punto. Crea certi periodi che durano epoche, ed alcune volte li rileggi e gli batti le mani a ‘sto stronzo, che poi non si dovrebbe dire perché il tipo è morto.

Insomma alle volte fai le cose per sbaglio ed incappi in dei capolavori. Non ti aspetti nulla e ricevi tanto. Stavolta, più che nel Vangelo secondo Gesù Cristo, Saramago incanta con la forma, e si lancia in un argomento delicato, dissacrandolo, spogliandolo e divertendosi a creare scompiglio con la conoscenza e il piglio di chi sa fare il saluto al Giglio, di chi non ha nulla da perdere, di chi riesce a vedere chiaramente attraverso le cose, di chi sa, e vuole fornirti gli elementi per far sapere anche a te, ma si diverte troppo a nasconderli e mischiarli, ed a farti tirare il collo.

Giunto ad un’età in cui può dire tutto, José dice tutto. Crea un’allegoria fantastica dando forma e pensieri alla stronza con la falce. Dà capacità di pensiero e di parola alla falce stessa. Crea il panico nei palazzi del potere, nella case di tutti. Poi nella casa di uno solo. Parte da una parte e arriva da un’altra, così come è giusto che sia.
Lo fa in modo splendido, elegantemente coatto.
E il lieto fine è un albero di ciliege sulla torta.

José uno di noi.

Ah, la cosa della maphia poi non l’ho più svicendata, abbiate pazienza.

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