Breve storia del Fascismo – Renzo De Felice

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Premessa (parte destra)

Ultimamente su un social network m’è capitato di leggere i post di un amico di infanzia che inneggiava tutti i giorni al Duce, al Fascismo, all’olio di ricino e a tutte le cose belle fatte nel ventennio e vanificate da queste amministrazioni smidollate. Questo vecchio (e per fortuna ora non più) amico, come molti altri nostalgici del ventennio, racconta di cose prodigiose fatte in quel periodo, di quanto si stava meglio, delle fontane che davano acqua minerale, delle statue che ti sorridevano, dei passanti che ti abbracciavano, degli africani conquistati che ti reggevano l’ombrello parasole e che ti chiavano zignòre o zignòra. Insomma di un’Italia che era un posto bello dove vivere in armonia l’uno con l’altro, e non la merda che è adesso.

Premessa (parte sinistra)

Ma sempre ultimamente su un altro social network mi è capitato di leggere tanti post che invece sottendono un ormai diffuso e per me fastidioso atteggiamento che consiste nel dare del Fascista a chiunque dica una cosa che infranga il principio totalmente campato in aria di “ogni essere umano è libero di fare il cazzo che gli pare, dove gli pare, quando gli pare, e se qualcuno fa delle osservazioni, beh, quel qualcuno è chiaramente un fascistòne e allora Piazzale Loreto per tutti e blablablà”.

Premessa (parte nopèa)

E allora io che sono un ignorante DOCG che a scuola ha studiato tanta educazione fisica ma poca storia, io che anche se negli ultimi tempi qualcosa ho cercato di appianare ammanco ancora di parechi pezzi per avere un’idea di insieme (diciamo che ho un buco che va più o meno da quando Russell Crowe uccide Commodo fino all’incirca alla salita al potere di Matteo Renzi), proprio io vado a prendermi un libro scritto dallo storico più accreditato, quello che più ne sa sul Duce e sul Fascismo, tal Renzo De Felice. Renzetto dovrebbe mettere d’accordo sia chi ha il tatuaggio del fascio sulla gamba destra e sia chi ha quello del duce a testa in giù sulla sinistra.

Breve storia sulla breve storia del Fascismo scritta da Renzetto nostro

Allora visto che la premessa è stata lunga, con le impressioni sarò breve. Non posso non dire però che Renzetto non scrive affatto una breve storia. Anzi Renzetto scrive una storia infinita, una cosa tipo 8 volumi giganti che se li leggi tutti ti citofona Falcor il FortunaDrago, ti si carica sulla schiena e ti porta in volo il più lontano possibile dal nulla (il nulla = me e tutti quelli come me che sul Fascismo non sanno nulla). La storia breve scritta in questo libro invece è ad opera di Claudio Siniscalchi che l’ha tirata fuori attingendo da La Storia d’Italia del XX secolo, un docu-film realizzato dallo stesso Siniscalchi, tre tra gli storici più importanti del nostro paese (tra cui Renzetto nostro), e il regista Folco Quilici.

Grandi linee, piccoli capitoli

Il libro è diviso per argomenti macroscopici e quindi giocofòrza non può dirmi proprio tuttotùtto quello che volevo sapere sull’argomento; apre però parecchie porte, suona diverse campanelle, insomma invoglia ad approfondire svariati svarioni swarovski. Sono però due a mio avviso i temi che in questo libricino vengono approfonditi maggiormente: 1. l’ascesa al potere del Fascismo con la descrizione di tutti i passi che hanno trasformato una monarchia costituzionale in un regime, l’apertura a sinistra di Mussolini, l’omicidio Matteotti, la Secessione dell’Aventino, la formazione del Gran Consiglio e 2. l’ingresso in guerra dell’Italia al fianco della Germania dell’amico Hitler, decisione molto sofferta di Mussolini presa da una parte per paura di perdere la stima e la fiducia del pazzo amico tedesco, dall’altra di essere etichettato come neutrale, o, peggio, che l’Italia potesse essere risucchiata da una Germania schiacciasassi. Non c’è traccia invece di argomenti quali le Leggi razziali, l’Opera nazionale Balilla, lo Squadrismo: troppe cose sono assenti, anche nell’ovvietà del fatto che in un volumetto così esile per farci entrare tutto avrebbero dovuto scrivere con un font davvero piccolo piccolo piccolo.

In alto a sinistra Mussolini con una delegazione dell’Eritrea: siccome loro si vestono buffi lui decide di fare altrettanto. In alto a destra Benito saluta il suo pazzo e sorridente (perché pazzo) amico Hitler. Sotto non mi ricordo, sfila davanti a dei soldati, li saluta, boh…

Per fortuna però c’è spazio per varie chicche che aiutano quantomeno a sfaccettare meglio la figura del Benitone nazionale, tipo questa qui, in merito al suo pensiero sull’Adolfone nazionalsocialista:

Il successo elettorale nazionalsocialista dunque, pur inducendo i fascisti a giudizi meno affrettati e superficiali, non mutò di molto le opinioni sull’affidabilità del movimento e del suo capo, che Mussolini continuò a considerare un invasato, autore di un libro, il Mein Kampf, “illeggibile”, contornato di fanatici ed omosessuali, letteralmente malato di ideologie razziste e antisemitiche, in ultima analisi un politico di non grande statura.

Oppure questa chicchetta qui, che è parte di un discorso fatto durante un comizio, volto a chiarire alla Francia come si poneva l’Italia nei confronti della Germania:

Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto.

Ultima ma non ultima anche questa bèlla di rara perlézza, confidenza fatta all’amico Galeazzo Ciano:

Il popolo è una puttana e va col maschio che vince.

Insomma un libro che risponde a qualche domanda, ma non in modo tale da placare la mia sete e farmi ripartire di slancio. Temo quindi che nelle discussioni a cui assisto ormai frequentemente – in cui uno dice: Aò sei un fascista demmèrda, tu e tutti l’amici tua de Casapound dovete morì a testa in giù come quoo stronzo d’aamico vostro… e l’altro ribatte: A zecca demmèrda, te e l’amici tua negri ‘o so io come ve sistemo, altro che olio de ricino… e poi, ancora: Razzista! Sei un razzista schifoso e basta! e di contro: Sì e me ne vanto, so’ imperialista embè? Ma che ne sai te daa storia che sei ‘na zecca! E vatte a lava’ che puzzi! e poi: Puzzo io? Ma io non te sputo in faccia perché sennò te ‘mprofumo! E poi che ne so io daa storia? Ma che ne sai te, ignorante parassita razzista nazista fascio demèèèèèèèrdaaaa!!!!… e così via all’infinito – io dovrò starmene ancora in disparte senza poter apporre delicate ed erudite argomentazioni sull’uno o sull’altro piatto della bilancia.

Mannaggia a me, ma che leggo a fa’ se poi rimango ignorante?

Ciao, ora vado perché l’Italia chiamò.

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