Sweat the technique – Rakim

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Vogliamo dire che questo è l’unico blog italiano che parla di questo libro? Vogliamo dire anche che l’Italia avrebbe tanto bisogno di saperne di più su Rakim e di meno su Kim Rossi Stuart? Vogliamo dire inoltre che il libro in italiano non esiste, ma che anche in lingua originale Rakim è così clever che arriva lo stesso dritto in faccia?

Vogliamo dirle tutte queste cose? Certo che no, checcazzocifréga a noi…

Quello che ci preme dire invece in queste pagine inesorabilmente ignoranti è che Rakim non scrive di certo un libro che rimarrà nella storia della letteratura: non quanto le sue canzoni, almeno. Però in questa biografia ci racconta chi è, chi è stato, da dove viene, da dove è passato, dove è sempre voluto andare.

Un ragazzino di Long Island che amava il football ed il rap e che nonostante fosse bravo in entrambe le cose riesce ad emergere solo nella seconda, trovandosi catapultato nel giro di poco tempo nel rap game, dimostrando però di riuscire a rimanerci per tutta la vita, diventando per alcuni il numero uno, e per quasi tutti gli altri uno dei primi 5 – insieme ai vari Nas, Biggie, Jay Z, TuPac e ad altre combinazioni che prevedono Slick Rick, Scarface, o Kanye West, come ricorda bene Chris Rock nel suo film, Top Five (bellissimo, andatevelo a vedere).

Rakim (che agli albori si faceva chiamare Kid Wizard, e poi per un periodo Wise Intelligence) suddivide il libro in paragrafi che sembrano essere una scalinata verso la conoscenza e, per aiutare durante la salita, tra un gradino e l’altro infila i testi – corredati di spiegazioni – di alcune canzoni a cui è particolarmente legato, (How to emcee, Mahogany, The Mistery, Musical Massacre). Oppure ricorda come quando, in Casualties of War, pezzo sulla guerra nel Golfo Persico, di fatto preannuncia l’attentato alle Twin Towers che avverrà solo 9 anni più tardi:

Stiamo parlando (serve ricordarlo?) dell’inventore del conscious rap, uno stile meno aggressivo o festoso e più attento al significato, tant’è che anche un dio dell’epoca come Marley Marl durante una sessione di registrazione lo riprende per il suo stile troppo calmo e compassato, tipo “mettici un po’ più di grinta, ragazzo…”.

Stiamo parlando di uno che ancora si diverte a stimolare il lettore quando descrive le sue liriche usando espressioni che mandano a casa come Iota, Staccato style, e soprattutto Braggadocio. Rega’, ma “braggadocio” che cazzo de parola fantastica è?*

Sicuramente un libro asciutto, ma che mantiene lo stile dell’autore che da sempre ha deciso di non scrivere nè una parola di più nè una di meno di quelle che servono a recapitare il suo messaggio. Che esso sia spirituale (Man is God: il ragazzo si è studiato il Corano), o più street oriented, Rakim non ha mai tradito se stesso. Nemmeno quando un Dr.Dre all’apice della carriera gli ha chiesto di cambiare stile e buttarsi sul gangsta rap. Lui che per strada ci è cresciuto, che a 12 anni girava col pezzo in tasca, non ha arrestato il suo processo evolutivo per i soldi, e si è consegnato alla gloria, alla memoria, alla storia, e a tutte quelle altre cose che finiscono in “oria”.

Ciao. (Ruba la tecnica).

* Braggadocio nasce dalla somma delle parole brag/braggart (= spaccone; termine di origine francese) + il suffisso italiano docchio usato nel 16mo secolo nella letteratura inglese per dare importanza e tono alle parole. Nello specifico, è il nome Braggadocchio è il nome di un personaggio spaccone nel The Faerie Queene di Edmund Spenser.

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