La città dei ladri – David Benioff

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Il buon Davide non devo certo presentarvelo io ma nel caso in cui invece non vi si accendesse nessuna lampadina, vi dico che parliamo dell’autore del libro La 25ma ora, lo sceneggiatore dell’omonimo film diretto da Spike Lee, lo sceneggiatore del Trono di Spade e di cazzattelle quali Gemini Man, Troy e altre piccole produzioni tipo queste.

Davide in questo romanzo fa una cosa meravigliosa, ovvero imbocca a casa del nonno col registratore e gli dice: A no’, raccontame la guera, de quanno eri piccoletto e ssavi a Sampietrobburgo e i Nazi demmerda ve bombardaveno ma voi russi glie avete fatto er culo come un secchio perché i crucchi se so’ morti de freddo…

Foto di un carro armato russo presa dal sito Ars Bellica

Così nonno Benioff racconta*, Davidino si segna tutto e poi ricompone i pezzi, aiutandosi con libri che raccontano dell’assedio tedesco a Leningrado durato 28 mesi come I 900 giorni di Harrison Salisbury e Kaputt di Curzio Malaparte.

Ne esce una storia quasi scanzonata, quella di due ragazzetti diversi che sono quasi costretti a diventare amici e che si troveranno ad affrontare atrocità di vario tipo, le stesse presenti in tutti i racconti di guerra, quando gli occhi di chi le racconta si fanno lucidi perché ricordare certi fatti – la fame, il freddo, la morte ovunque – è un po’ come riavvicinarcisi.

Davide ha quello stile lì che riesce a strapparti una mezza risata anche in una situazione terrificante, infittendo i dialoghi ora con richiami alla letteratura russa, vera o immaginaria, ora con scambi di battute al veleno. Onore a lui che cerca le sue radici nella neve e nel fango, per raccontare e rendere la gloria che merita a suo nonno e per osmosi anche alla tigna del popolo russo.

Sport the war, war support
The sport is war, total war
When victorys a massacre
The final swing is not a drill
Its how many people I can kill
(War Ensemble – Slayer)

Ciao.

* Questa cosa del nonno che consegna le sue memorie al nipote sapendo che egli vorrà tirarne fuori un’opera letteraria mi sembra molto simile a quanto accaduto tra Art Spiegelman ed il padre, sopravvissuto all’Olocausto.

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