Posted by Io non lo so come fa Gesuino Némus ad impregnare così tanto di Sardegna quello che scrive.
Lui non è uno che ambienta i suoi romanzi in Ogliastra, poi sparpaglia un po’ di nomi e cognomi sardi tra i personaggi, qualche frase in dialetto e poi tutti a casa… no!
Lui già parte a cannone perché si inventa una cazzo di storia che di per sé è pazzesca, poliziesca, rocambolesca, e il lettore abbocca all’esca; poi, non pago, prende il manoscritto e lo infilza con uno spiedo di legno, lo mette vicino al fuoco in verticale – in modo che i liquidi che escono dalla narrazione non si disperdano sulla fiamma ma rimangano nella ciccia – e crea un “romanzo porceddu” come Cristo comanda.
Gesuino Némus: ..E ‘sto romanzo? Tie’, senti ‘sso romanzo, questo è sardo, sa’, oh, sardoo!.. E ‘nnamo!.. E daje!.. E’ sardo!.. E’ bono? Com’è? Di’ la verita… Io: E’ sardo…
Insomma un’altra perla del buon Gesuino – all’anagrafe Matteo Locci – che dopo La teologia del cinghiale e I bambini sardi non piangono mai si conferma uno che sa scrivere romanzi gialli polizieschi. Li scrive senza spari, inseguimenti, elicotteri che vanno a schiantarsi dietro i grattacieli per problemi di budget (e anche per la nota mancanza di grattacieli in Ogliastra): a dettare i tempi sono le intuizioni, le tracce, gli elementi, il suono dei passi sui sassi. Fondamentale e caratteristica, poi, l’indagine condotta in totale assenza di testimonianze, vista la reticenza degli abitanti di Su Cuccuru, cima quasi irraggiungibile del già poco battuto paesino Televras.
Scandito da un perfetto mix di umorismo e omertà, sogno e realtà, il romanzo fila via veloce, anche se devo ammettere che un po’ di inquietudine me l’ha lasciata addosso per più di qualche sera.
E poi c’è sempre Gesuino, alto e basso, largo e stretto, bambino e adulto, che mette lo zampino anche qui.
Garanzia.
Saludàus!
