Dice Sandrino nostro che gli era venuto in mente di leggere l’Iliade in pubblico, ma poi aveva pensato Povero pubblico, che m’ha fatto di male? Perché anche a voler evitare la versione originale in esametri e leggere quella più intellegibile di Maria Grazia Ciani sarebbe stata comunque una cosa triste, di capo chino e sofferenza, di sorrisi stiracchiati, sbadigli soffocati e palpebre calanti.
Perciò – dice Sandrino – mo la pio, la taglio, la snellisco, glie levo gli dèi, gli aggiungo qualche cosetta, ma così, giustopér, ah! Ecco che faccio: faccio er discorso diretto. Faccio parla’ Achille, Ettore, Elena, Menelao, Agamennone, Priamo, Enea, Paride (…anzi, Paride no, Paride sta sul cazzo a tutti, pure a Sandrino, si vede…). ‘Nsomma faccio ‘na cosa fica. La faccio ora, nel 2004, così magari tra 15 anni un blogger ignorante vedrà che questo libricino è esile e ne approfitterà per riavvicinarsi all’epica ed io avrò tolto dalla strada un altro rapper fallito.
Insomma Sandrino m’aveva puntato. E pensa’ che nel 2004 ero lanciatissimo verso una carriera da Rapstàr.
Come fanno gli intellettuali a sapere sempre certe cose prima degli altri?
Usano l’intelletto, mi dirai…
Poèsse, ‘nfatti.
Per il resto poi er libro è tutto scontri, battaglie, strategie, capelli ar vento, scudi brillanti, spade scintillanti, lance fiammanti, carri dorati, armature di bronzo, frecce d’argento… E infatti quanno uno more tutti se sbrigano a sfilaglie via la robba de dosso perché vabbè che stamo qua sur campo de battaglia e semo tutti bellibèlli inmodoassùrdo e combattemo come gli eroi che semo, però insomma, aò, se ammazzi uno e gli pii ‘na spada d’oro poi la porti a squaglia’ che fai dieci sacchi minimo… Semo eroi greci forti e belli, ma mica semo stronzi!
Ciao, pelìdi.