Funny Girl – Nick Hornby

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Successe che lo scrivente in età di avente ancora pochi anni fosse amante del pianeta del giuoco calcio e curioso di leggerne le migliori gesta nelle parole scritte da fini raccontatori. Fu così che mi avvicinai a titoli quali La mia vita rovinata dal Manchester United, Belli e Dannati, Cuentos de fùtbol, per dirne alcuni, e ovviamente anche al superclassico Febbre a 90, di Nick Hornby.

Il volpone inglese affascinò il giovane me a tal punto che anche il non più giovane me continua a leggere i suoi libri, l’ultimo dei quali narra di una giovane e bellissima ragazza di Blackpool, tale Barbara, che ha il pallino di voler far ridere la gente e che, trasferitasi a Londra per rincorrere i suoi sogni (e nel mentre fare un lavoro di merda, come abbiamo fatto più o meno tutti) ha la fortuna di incontrare e di piacere ad un gruppo di attori radiofonici della BBC, suoi idoli. Insieme daranno vita ad una nuova sitcom, ad una nuova frontiera di umorismo, ed a questo libro.

Nick (scusate la confidenza, ma per me è un fratello…) ambienta il romanzo in una Londra anni ’60 corredando il libro di vecchie foto dei locali, dei teatri e dei principali luoghi in cui si scioglie l’intreccio. Inonda il racconto con i dialoghi, che in questo caso si dividono tra i continui ed astiosi battibecchi degli autori/attori al lavoro, e le battute che loro stessi scrivono per la messinscena, ugualmente battibeccanti. Sempre schietto Nick, sempre elegante, ma purtroppo sempre meno ignorante. Per dire: Barbara per esigenze di appeal viene ribattezzata Sophie Straw (che poi sarebbe Sofia Cannuccia…), nome più adatto a lei e leggerissimamente onomatopeico. Ma anche disponendo di nome ed identità nuovi, in scena finirà per interpretare una donna di provincia molto simile a sè stessa, e tornerà quindi ad essere Barbara. Fuggire da una condizione, ed ironicamente interpretarla per anni: diventare famosa solo per quel personaggio, essere ricordata solo per quella che sei e sei sempre stata, ma che non volevi essere. Forte ‘sto cazzo de Nick, è ve’?

Il romanzo, pur essendo disinvoltamente fico, non aggiunge molto alla scena mondiale dell’ignoranza britannica messa per iscritto: Nico è troppo abile, troppo bravo a sfogliare piano piano il personaggio, troppo esperto nel racconto del conflitto e nella dissacrazione di esso per abbassarsi al livello di un lettore ignorante, che anzi prova ad elevare. Nel mio caso fallendo, ovviamente.
Forse dovrei smettere di leggere le sue cose, come ho fatto con Baricco, ma il solo pensiero mi causa un blocco allo stomaco. Sarebbe un distacco troppo grande ed al momento non sono pronto. E poi già me lo immagino er poro Nicola che sta lì e si dispera perché io non leggo più i suoi libri e me chiama un giorno sì e l’altro pure per chiedermi spiegazioni, me manda biglietti per andare con lui all’Emirates a guardare l’Arsenal… No, no. Continuerò a leggerlo. Lo perdono. Glie voglio bene.

Però basta che non se ne approfitta, il gunner.

 

 

Bye.

 

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