Il visconte dimezzato – Italo Calvino

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La cosa strana di questo libro è che è impostato come un libro di testo e per più di metà del suo volume è riempito dalla vita dell’autore, come se io fossi uno studente che si avvicina a Calvino per studiarlo nella sua interezza, o quantomeno una persona dotata di intelletto e conoscenza tali da prendere le informazioni fornite ed usarle per inquadrare il romanzo in una particolare epoca.

Libro, per chi mi hai preso? Ma che comportamentazione è questa (cit.)? Io voglio solo leggermi il romanzo e poi togliermi velocemente dalle palle…

Ma tu guarda che supponenza… Ma che si fa così? Ma io dico…

Vabbè: siccome so’ un signore faccio finta di niente.



Il visconte dimezzato (tuttodunfiàto).


Insomma subito una rosicata perché il visconte non è di Mezzato ma è di Terralba, si chiama Medardo e è mezzo scemo perché va a fa’ la guerra ai turchi come se andasse a fa’ l’aperitivo, pensando Mo stasera me bevo tutto, me faccio a pezzi… e infatti i turchi glie sparano una cannonata in petto che nemmeno Mark Lenders e lo fanno a pezzi, letteralmente, due per la precisione, e lui mezzo deqquà e mezzo dellà dice Mamma mia comme je sto! citando Enzo Salvi, e così vive in due pezzi, ma non in bikini, intendo diviso a metà, da una parte buono e dall’altra cattivo, e se la parte cattiva è cattiva vera infame fracica, la parte buona è soprattutto buona a nulla, e qui arriva il contributo dalla regia:

Così passavano i giorni a Terralba, e i nostri sentimenti si facevano incolori e ottusi, poiché ci sentivamo come perduti tra malvagità e virtù ugualmente disumane.

Però alla fine tutto si ricuce, tutto si rammenda, si ricompone, meglio de prima, anche perché prima il visconte non era proprio ‘sto fulmine de guerra, e quindi torna a vivere intero, non parzialmente scremato, vive felice e visconte, anche se io la tipa lì, Pamela, non me la sarei presa nemmeno regalata, una che va in giro co’ ‘na capra e ‘n’oca, però de gustibus non disputandum est, Calvino lo sa bene, e sulla gnocca nemo spuntandum mai, che io sappia, e comunque er dottore, Trelawney, sicuro se faceva certe canne lunghe così.



Ciao.

Anzi, no. C’era questa cosa che m’aveva fatto ride’.

– Aspettiamo qui che spiova, – disse Esaù, – intanto giocheremo ai dadi. Tirò fuori i dadi e una pila di denari. Denaro io non ne avevo, così mi giocai zufoli, coltelli e fionde e persi tutto. – Non scoraggiarti, – mi disse alla fine Esaù, – sai: io baro.

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