Vivo per questo – Amir Issaa

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Quello che ho appena letto è un libro serio. Serio come l’autore: tale Amir Issaa, rapper romano noto alle teste hiphop semplicemente come Amir. E se siete teste hiphop di una certa età, potreste ricordarvelo anche come “er Cina”.
La cosa del “serio” non l’ho scritta a caso (stranamente…): Amir, volto sempre tirato, mai un sorriso, testa alta, rime sempre dritte, incazzate, ben scandite, pese. Un rap di cui non si fa certo fatica a riconoscere l’attendibilità, ma non il tipo di rap che preferisco, troppo serio per me che sono un cazzone.
E questa sensazione di essere un tipo “serio” (giuro: è l’ultima volta che lo scrivo…) mi è stata confermata una volta anche dall’amico Pedar Poy (già Padre P.yo) che quando stava in vena di prendere per il culo un po’ tutti nella scena, mi disse di averci preso anche gli schiaffi. “Mi sa che gli egiziani non hanno molto senso dell’umorismo” commentò.

Il libro fuori
Copertina gialla e nera in Wiz Khalifa style.
Foto all black in Abu Bakr al-Baghdadi style.
Testo del suo pezzo Non sono un Immigrato.

Il libro dentro
230 pagine scorrevoli e ben suddivise in capitoli che accompagnano chi legge nei trascorsi del rapper, indoor e outdoor. Indoor una situazione familiare complicata: padre egiziano spacciatore che entra ed esce di prigione, madre sola che cresce due figli facendo più lavori possibili, sfratti, irruzioni della polizia. Outdoor le strade della capitale, Tor Pignattara, Flaminio, le scuole, i guai, il writing, il Rome Zoo, lo skate, le guardie, il rap.

Un libro che si lascia leggere molto volentieri 1. perché io e l’autore siamo coetanei e molte delle cose che racconta le ho vissute, o le ho sentite raccontare; 2. perché tratteggia uno spaccato di Roma che fa i conti con l’essere una metropoli, il passaggio da “paesone” a città multietnica; 3. perché fa capire in modo epidermico quanto in l’Italia sia ancora un paese razzista che accetta gli stranieri solo se giocano nella propria squadra di calcio; 4. perché è anche la storia di una famiglia che lotta e si tiene stretta nonostante mille difficoltà. Anzi forse proprio grazie a quelle.

Il libro è scritto bene, anche troppo. Cioè: Amir è mezzo italiano, non è praticamente mai andato a scuola, e comunque scrive meglio di me, anche se chiaramente non è difficilissimo. Staccapì? Questi vengono a rubarci anche la letteratura, oltre al lavoro!!!…

Un bel libro, una bella storia. Una storia che ho sentito vicina, affine. Non so quanto possano sentirla così persone geograficamente o culturalmente lontane, però sticazzi, insomma.

E in conclusione, vi lascio con un episodio precedente alla lettura di questo libro.
Passo a trovare i miei a Lavinio e mi fermo a pranzo. C’è anche mio nipote Daniele, 12 anni.
D: Lo sai zio che a scuola oggi è intervenuto un cantante Rock di Roma?
L: Ah, sì? E come si chiama? Magari lo conosco….
D: Non mi ricordo, aveva un nome strano… mmm… Issa, mi pare.
L: Issa?
D: Sì, Issa.
L: Oh-issa?..
D: No, zio, davvero. Di nome si chiama Amòr.
L: Amòr?? Ma che nome è, Amòr? Forse si chiama Amor perché Amòr = Roma scritto al contrario. Che fantasia… (E dicendo così mi ritorna in mente una barra di qualche tempo fa: “Amir, rima al contrario / pronto a farti fuori se sarà necessario…”). A Danie’, ma se chiamava Amòr o Amìr?
D: Ah, sì, è vero Amìr…
L: Ma allora non è un cantante Rock, fa il Rap. Danie’, il Rap: come zio!
D: Ah, è vero… Ha detto che domani torna a mi porta l’autografo.
L: Sicuro? Non che Amir te da la sola?
D: Boh, ha detto così…
Il giorno dopo è tornato a portargli l’autografo.
E lo sapete perché?
Perché è uno serio (l’ho riscritto…).

R.E.S.P.E.C.T.
(Find out what it means to me)

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